Che cos’è l’omofobia?

Home/Blog, Senza categoria/Che cos’è l’omofobia?

Che cos’è l’omofobia?

Omofobia, omofobie

A partire dagli anni Settanta, la comunità scientifica abbandona la domanda sulla “causa” dell’omosessualità in favore di una riflessione sulle cause dell’omofobia: dalla domanda “perché lei è omosessuale” si passa dunque alla domanda “perché lei ha ostilità, paura o disgusto nei confronti dell’omosessualità e degli omosessuali”.

Weinberg (1972) conia il termine “omofobia” per indicare la paura di trovarsi in un luogo chiuso con una persona omosessuale. Utilizzare il suffisso “-fobia” rischia di creare confusione: sul piano comportamentale una fobia induce frequentemente strategie di evitamento, come ad esempio allontanarsi da un oggetto che suscita la nostra fobia o evitare di trovarsi in situazioni in cui si potrebbe essere esposti al contatto con lo stimolo fobico.

Nel caso dell’omofobia la manifestazione comportamentale più spesso associata è l’aggressività: oltre alle condotte di evitamento di cui abbiamo parlato, una persona omofoba in presenza di una persona LGBT mostra atteggiamenti ostili, utilizza un linguaggio giudicante e svalutante, attua comportamenti aggressivi.

Hudson e Ricketts (1980) operano una distinzione significativa tra “omonegatività” e “omofobia”: l’omonegatività è un concetto più complesso  basato sui giudizi riguardo la moralità delle persone omosessuali ed in generale sul sistema di credenze che orientano le decisioni delle persone omofobe e le loro scelte relazionali e sociali; l’omofobia indica invece la risposta affettiva ed emozionale che include ansia, ostilità, rabbia ed avversione che un individuo sperimenta nell’interazione con una persona omosessuale.

Blumenfeld (1992) individua quattro livelli di omofobia:

  • personale: riguarda i pregiudizi individuali verso gay e lesbiche;
  • interpersonale: riguarda l’espressione in comportamenti e azioni di questi pregiudizi;
  • istituzionale: riguarda le politiche discriminatorie attuate dalle istituzioni;
  • sociale: riguarda gli stereotipi sulle persone LGBT e la loro esclusione dalla partecipazione alla vita collettiva.

E’ necessario sottolineare l’importanza della dimensione sociale dell’omofobia: l’omofobia non è solo una risposta comportamentale violenta, ma anche la diretta conseguenza di pregiudizi e stereotipi nei confronti delle persone LGBT.

Per questo, Herek (1993) propone il termine “eterosessismo” per indicare un sistema ideologico che nega, denigra e stigmatizza ogni forma di comportamento, identità, relazione o comunità non eterosessuale. Il pregiudizio eterosessista, che si sviluppa sin dall’infanzia, ha il “compito” di definire una norma sociale per cui un orientamento non eterosessuale non esiste e, qualora se ne accerti l’esistenza, viene percepito come qualcosa di “deviato” e “anormale”. La persona omosessuale viene inoltre considerata “inutile” da un punto di vista sociale e “immorale”.

Le persone omofobe pensano che i gay e le lesbiche siano perversi e pericolosi, o comunque “sbagliati”. A seconda del grado di omofobia, le reazioni di un omofobo di fronte a una persona omosessuale possono andare dal semplice disagio, alla paura fino alla violenza. Gli omofobi non riconoscono valore al sentimento d’amore omosessuale e non vogliono vederne riconosciuta l’esistenza. Dal momento che è molto diffusa, l’omofobia causa, ai gay e alle lesbiche, una serie di effetti sul piano sociale, tra cui: le molestie verbali e fisiche, la sopportazione di pregiudizi diffusi nei più diversi ambienti sociali e professionali, le discriminazioni personali o istituzionalizzate, fino alle campagne anti-gay portate avanti da alcune organizzazioni politiche o culturali.

 

Cosa succede quando una persona omosessuale è omofoba?

L’omofobia interiorizzata è l’insieme dei sentimenti e degli atteggiamenti negativi, in uno spettro di intensità che varia dal disagio fino al disprezzo, che una persona gay o lesbica prova nei confronti della propria omosessualità (Lingiardi, 2007)). Una persona gay o una persona lesbica che fin dall’infanzia ha sentito intorno a sé pregiudizi e atteggiamenti negativi nei confronti dell’omosessualità è naturalmente portato a interiorizzare parte di tutto ciò, finendo per sentirsi “sbagliato” in quanto omosessuale. Ciò è tanto più vero in quanto i gay e le lesbiche crescono generalmente senza modelli positivi di riferimento e nella maggior parte dei casi senza poter trovare nella famiglia d’origine un adeguato supporto.

Si associa frequentemente a

  • scarsa accettazione e stima di sé
  • sentimenti di incertezza e inferiorità
  • vergogna
  • incapacità di comunicare il proprio orientamento sessuale
  • convinzione di essere rifiutati per il proprio orientamento sessuale
  • identificazione con gli stereotipi denigratori.

Questi vissuti delineano e sostengono convinzioni secondo cui una persona gay o lesbica è destinata alla solitudine o comunque non potrà mai avere una vita gratificante o soddisfacente tanto quanto una persona eterosessuale.

Chi è affetto da omofobia interiorizzata ha difficoltà ad accettare serenamente il suo orientamento sessuale, fino alla completa negazione di tale orientamento. Nella vita di tutti i giorni tende a giudicarsi negativamente e spesso guarda con disapprovazione i tentativi del movimento gay di ottenere maggiori diritti per le persone omosessuali. È preoccupato che gli altri scoprano la sua omosessualità, a volte finge di essere eterosessuale e spesso non riesce a sviluppare una sana relazione di coppia. Vorrebbe diventare eterosessuale e potrebbe aver fatto dei tentativi psicoterapeutici in proposito.

Col tempo può sviluppare

  • disturbi d’ansia
  • depressione
  • problemi con l’alcol
  • problemi con il cibo e disturbi alimentari
  • ansia sociale e disturbi sessuali.

L’omofobia interiorizzata viene definita in letteratura con diversi termini: omonegatività interiorizzata, stigma sessuale e stigma sessuale interiorizzato. Non può prescindere dal sessismo, inteso come un sistema ideologico che definisce i rapporti tra i generi sessuali e la sessualità sulla base di un “ordine naturale” che giustifica la discriminazione sulla base del genere sessuale di appartenenza.

Herek (1998) esplicita il concetto di “stigma sessuale”, in cui sottolinea come le persone LGBT siano oggetto di uno stigma sessuale in quanto sono percepite come una minaccia alla regola sociale che concepisce l’eterosessuale come “normale” e definisce in modo rigido le aspettative ed i ruoli delle persone sulla base del proprio essere uomini o donne. Lo stigma sessuale può essere inoltre distinto tra: stigma agito, ovvero i comportamenti e gli agiti violenti nei confronti delle persone LGBT; stigma percepito, ovvero la consapevolezza di una persona gay o lesbica che la società agisce uno stigma verso il proprio orientamento sessuale, e lo stigma interiorizzato, ovvero l’accettazione dello stigma sessuale come parte integrante del proprio sistema di credenze e valori.

Il concetto di stigma sessuale interiorizzato evidenzia il processo della stigmatizzazione come strumento attraverso cui una minoranza subisce tentativi di assimilazione che riporti ciò che viene percepito come “deviante” all’interno della norma.

Se il pregiudizio e la discriminazione sono fattori rilevanti di stress, la maggior parte della popolazione omosessuale è segnata da uno stress continuativo, macro e microtraumatico, conseguenza di ambienti ostili ed episodi di violenza. Tuttavia, la minoranza omosessuale, diversamente dalle altre minoranze, non può contare su modelli positivi di riferimento e difficilmente trova sostegno nella famiglia; inoltre, rispetto al razzismo, l’omofobia gode di una maggiore accettazione sociale.

Secondo Meyer (2006) ha tre dimensioni fondamentali:

  • omofobia interiorizzata: atteggiamento negativo o conflittuale di una persona omosessuale nei confronti dei propri desideri e delle proprie fantasie;
  • stigma percepito: sensibilità all’ambiente esterno, paura di “essere scoperti” come persone LGBT, uso di strategie difensive inadeguate e croniche;
  • esperienze vissute di discriminazione e violenza, che spesso avvengono in un contesto sociale che è indifferente o che collude con la violenza stessa.

L’intensità del minority stress si riflette sul rischio di danni psicopatologici; questo rischio è ridotto dal  coming out, mentre la letteratura scientifica rileva come sia intensificato dalla precocità di esperienze di bullismo di stampo omofobico. A lungo termine lo stigma sessuale interiorizzato può portare la persona omosessuale a condurre una vita isolata e priva di soddisfacenti relazioni sentimentali e sociali. Può inoltre creare seri problemi nel proseguimento degli studi e da adulti nella sfera professionale, dal momento che chi ne è affetto si sente spesso inadeguato rispetto agli altri.

Le persone LGBT possono internalizzare l’ostilità sociale nei loro confronti, sviluppare sintomi da stress post-traumatico o sperimentare problemi relazionali di coppia (Lingiardi, Nardelli, Ioverno, Falanga, Di Chiacchio, Tanzilli, Baiocco, 2015). Inoltre, lo stigma sessuale interiorizzato può rappresentare un fattore di rischio nell’ideazione suicidaria, soprattutto tra gli adolescenti (Laghi, Baiocco, Ioverno, Baumgartner, 2014).

Nello specifico, se l’età non emerge quale fattore significativo rispetto all’ideazione suicidaria, è centrale il ruolo protettivo del sostegno familiare e della stabilità della vita di coppia, mentre rappresenta un fattore di rischio molto rilevante non solo lo stigma sessuale interiorizzato, ma anche lo stigma percepito e quello agito a livello istituzionale sulle persone LGBT.

 

Cosa fare?

Quando una persona LGBT è vittima della propria omofobia interiorizzata, è particolarmente importante il ruolo della famiglia come fattore protettivo rispetto alla possibilità di rischi psicopatologici: il coming out, sia come processo di consapevolezza di sé, sia come svelamento del proprio orientamento alle figure affettivamente significative, consente di combattere i vissuti di isolamento ed ostilità ed ottenere l’appoggio ed il sostegno dei familiari.

Dalla letteratura emerge anche la centralità del gruppo dei pari come fattore protettivo nei confronti del rischio di ideazione suicidaria: in particolare, comunicare il proprio orientamento sessuale nel contesto degli amici non solo permette di sperimentare una rete di legami affettivi efficace, ma anche consente di ridurre i livelli dello stigma sessuale interiorizzato (Baiocco, Laghi, Nigito, Di Pomponio, 2011).

Infine, quando il percorso di consapevolezza risulta difficile o conflittuale o quando si sono concretizzati disagi e difficoltà per effetto dell’omofobia interiorizzata, è utile rivolgersi ad uno psicoterapeuta: il percorso delle terapia ha come obiettivo integrare ed elaborare gli aspetti della propria identità che suscitano un conflitto, mostrando gli effetti dell’omofobia interiorizzata, ed aiutando la persona a vivere con serenità e consapevolezza la propria identità.

Presso lo studio Archè a Roma puoi richiedere la consulenza di esperti. Contattaci per un appuntamento: CLICCA QUI.
Share Button

About the Author:

ARCHE’ STUDIO DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA

Le nostre 4 sedi a Roma:

  • Garbatella
  • San Giovanni
  • Monteverde
  • Nuovo Salario

Per informazioni scrivici a: info@archepsicologia.it