I bisogni delle persone LGBT

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I bisogni delle persone LGBT

(dott. Piergiorgio Solvi)

Molte sono le variabili implicate dagli studi sulle condizioni di vita e i bisogni delle persone LGBT: età, genere, contesto socio-culturale, religiosità, orientamento politico, rete sociale e amicale, presenza di doppie appartenenze minoritarie (per esempio disabilità e orientamento non eterosessuale; appartenenza etnica e orientamento non eterosessuale). Le ricerche in queste ambito vogliono indagare  in un campione di adolescenti, giovani adulti, adulti e anziani quali sono le reali condizioni di vita, i fattori di rischio e di protezione, le necessità, i bisogni nei confronti delle diverse Istituzioni presenti nel territorio, le azioni/interventi atti a promuovere il benessere psico-sociale, le idee e i suggerimenti dei soggetti coinvolti.

Attraverso la ricerca, si tenta di stimare, valutare e stabilire le reali necessità dei membri appartenenti alla comunità LGBTQ in vari ambiti della vita quotidiana, riscontrabili nei seguenti segmenti: vita lavorativa, familiare, individuale e affettivo-relazionale.

I bisogni delle persone LGBT possono essere raggruppati in quattro grandi categorie:

  • bisogno di legittimazione e riconoscimento
  • bisogno di sicurezza
  • bisogno di una rete di dialogo
  • bisogno di interlocutori istituzionali formati

Il bisogno di legittimazione e riconoscimento si riferisce ad un bisogno di tipo eminentemente sociale e riguarda la necessità per una persona LGBT di sentirsi riconosciuta non solo nel suo orientamento sessuale, ma nella sua totalità, come persona, anche in termini sociali e civili.

La legittimazione rimanda all’idea che è necessario per una persona LGBT che il livello istituzionale si faccia carico di esprimersi in termini sociali e legislativi, ovvero riconosca ad una persona LGBT la piena partecipazione alla vita civile e la sua identità come soggetto di diritti e doveri. Il concetto di riconoscimento si riferisce alla necessità che il contesto sociale riconosca l’esistenza di persone LGBT e la loro necessità di accedere a servizi, diritti e doveri in modo non discriminatorio.

Questo bisogno si manifesta in molteplici contesti della vita di una persona LGBT: dalla famiglia al contesto amicale, alle relazioni nel mondo del lavoro. Si esprime nella necessità di superare il pregiudizio eterosessista per cui ogni persona ha di default un orientamento sessuale eterosessuale. Questo pregiudizio non rende conto della natura variegata e multideterminata non solo dell’orientamento sessuale, ma dell’identità in generale degli individui, che non è una struttura stabile, quanto piuttosto un sistema complesso sempre in via di evoluzione e definizione.

Il bisogno di sicurezza rimanda al senso di sicurezza percepita rispetto al proprio orientamento sessuale e alla propria identità di genere. Per questo motivo, evidentemente è strettamente connesso alle storie di omofobia di cui tristemente si apprende dalla comunicazione di massa, ma anche al bisogno di legittimazione e riconoscimento.

Il sostegno istituzionale rispetto alla sicurezza per le persone LGBT non passa solo attraverso iniziative normative contro l’omofobia, ma si realizza anche garantendo pieno accesso ai diritti e riconoscendo a livello sociale persone e coppie LGBT. In questo senso, il riconoscimento delle persone LGBT agisce come una spinta sociale che isola l’espressione di atteggiamenti omofobi, come avviene ed è avvenuto rispetto ad altri membri di comunità minoritarie.

Rispetto al tema dell’omofobia, centrale nel bisogno di sicurezza, occorre ripartire dalla considerazione che l’omofobia non è in senso stretto una fobia, quanto piuttosto un costrutto complesso formato da opinioni, pregiudizi e motivazioni che spingono all’azione. L’azione di stampo omofobo può avere una manifestazione fisica, ovvero tradursi in uno spettro di comportamenti aggressivi che vanno dall’insulto alla minaccia all’aggressione fisica. Tuttavia, notiamo anche che l’omofobia si configura come motore di violenza psicologica: minacce, atteggiamenti di rifiuto o di esclusione, giudizi di inadeguatezza o di “anormalità” rispetto all’orientamento sessuale non eterosessuale generano ansia, vissuti depressivi, svalutazione e possono condurre a disagi di tipo psicopatologico con esiti anche gravi.

L’omofobia ha anche una sua manifestazione celata, particolarmente diffusa in molti contesti e a volte inconsapevole. Questa si manifesta attraverso atteggiamenti di non riconoscimento e di esclusione e spesso viene veicolata dal linguaggio, dall’hate speech, alla totale “invisibilità” delle persone LGBT nella comunicazione.

Il bisogno di una rete di dialogo è costituito dalla necessità per le persone LGBT di sentirsi parte di una comunità in un dialogo sia all’interno della stessa sia all’esterno. In prima battuta, rimanda al bisogno di potersi confrontare con realtà associative con funzioni molteplici: farsi portavoce dei bisogni delle persone LGBT, fornire contesti relativamente sicuri, offrire sostegno nei percorsi di coming out o rispetto ad esigenze specifiche, offrire possibilità di confronto e dialogo con altri membri della comunità LGBT.

Le associazioni LGBT, soprattutto nelle fasi iniziali del coming out,  consentono la possibilità di potersi confrontare con altre persone che hanno affrontato percorsi analoghi e quindi combattono i vissuti di isolamento che spesso accompagnano le fasi iniziali dell’autoconsapevolezza del proprio orientamento sessuale facendo sì che le  persone LGBT possano riconoscersi in una comunità più ampia che condivide vissuti analoghi.

Tuttavia, la funzione di delega spesso affidata alle associazioni non risponde ad una reale politica inclusiva. Più in generale, si avverte il bisogno che le istituzioni in prima persona si facciano carico di promuovere una cultura di apertura e inclusività verso le persone LGBT. In un ribaltamento della prospettiva, le associazioni non dovrebbero avere il compito di stimolare le istituzioni a rispondere ai bisogni delle persone LGBT, quanto piuttosto l’azione governativa dovrebbe tutelare e promuovere una cultura dell’apertura affidando alle associazioni compiti specifici rispetto alla comunità LGBT.

Il bisogno di interlocutori istituzionali formati riguarda la necessità delle persone LGBT di potersi confrontare in ambiti istituzionali con operatori qualificati e formati.

Tali operatori, siano essi insegnanti, membri delle forze dell’ordine, medici o avvocati, spesso non solo possono mostrare pregiudizi o atteggiamenti omofobi, ma anche, qualora questi siano assenti e quindi in generale si potesse riscontrare un atteggiamento di apertura, non sono sufficientemente formati per poter rispondere in modo adeguato alle esigenze delle persone LGBT.

Per molti anni anche in ambito scientifico, in risposta ad un pregiudizio eterosessista che ha per secoli descritto la persona omosessuale come “deviante”, la letteratura si è concentrata sull’esplorazione del rapporto tra orientamento sessuale e psicopatologia, cercando di analizzarne i collegamenti in termini di omofobia piuttosto che di comportamento deviante.

Se da un lato questo ha mostrato una differenza non significativa tra popolazione eterosessuale e popolazione omosessuale, aprendo così alla derubricazione dell’omosessualità dal Manuale Diagnostico Psichiatrico, dall’altro ha posto in ombra le specificità delle persone LGBT, nel timore che potessero aprire nuovamente un varco ad uno studio discriminante.

Negli ultimi anni, estendendo queste riflessioni anche agli ambiti non clinici, si sono potuti osservare molteplici aspetti della vita delle persone LGBT, mettendo in luce specificità e bisogni che appaiono assolutamente non trascurabili.

Il confronto con un professionista non formato non solo corre il rischio di non riuscire a soddisfare le esigenze specifiche di una persona LGBT, ma anche di veicolare più facilmente una comunicazione eterosessista e, in ultima analisi, pregiudizi di tipo omofobico.

Un ambito specifico è quello del confronto con le forze dell’ordine. Molti partecipanti riferiscono che una persona LGBT vittima di un crimine d’odio che si rivolga alle forze dell’ordine si espone alla possibilità di essere oggetto di atteggiamenti omofobi, aumentando così i vissuti di isolamento e svalutazione: questo spesso spiega una forte reticenza da parte delle persone LGBT a denunciare crimini d’odio alle forze dell’ordine quando ne siano state colpite.

Nell’ambito scolastico, il bisogno di interlocutori istituzionali formati si rivolge soprattutto ai docenti e assume la doppia faccia del contrasto al bullismo omofobico e del sostegno alle persone LGBT. È utile rilevare come il contesto scolastico sia particolarmente significativo rispetto ai processi di socializzazione, in cui un giovane LGBT si confronta con il gruppo dei pari anche sui temi dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere e dei ruoli di genere, esponendosi al rischio di essere vittima di discriminazione ed alimentare i suoi vissuti di autosvalutazione ed esclusione.

Per questo motivo, per i docenti appare centrale essere adeguatamente formati sulle specificità dei percorsi di consapevolezza del proprio orientamento sessuale. Questo da una parte consente di sostenere uno studente LGBT alle prese con i primi passi del suo coming out, dall’altra permette di avere strumenti per individuare e valutare situazioni di rischio per quegli studenti che affrontano il proprio coming out o che sono vittima di discriminazioni.

Questo dovrebbe avvenire a partire dalla comunicazione, ma anche dalla riflessione critica sul proprio pregiudizio eterosessista. Un docente non adeguatamente formato alimenta, nel linguaggio, negli atteggiamenti, nelle opinioni, quell’anticipazione di omofobia che induce una persona LGBT a celare il proprio orientamento sessuale approfondendo ancora di più il suo isolamento.

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